Khiva, la spietata

 

Khiva, la spietata

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Per restare sulle tracce dei viaggiatori dell’ottocento andiamo a visitare Khiva con in mano il diario di Fred Burnaby, estroso soldato inglese,

comandante del reggimento a cavallo di sua maestà la regina Vittoria che per prendere servizio in India, decide di arrivarci dall’Afganistan, attraversando tutta la Russia.

Dolce di sera cavalcare oltre I pozzi,

quando ombre gigantesche passano sulla sabbia

ed é morbido nel silenzio il tocco dei campanelli,

    lungo la Via Dorata per Samarcanda.

(James Elroy Flecker)

Frederick Gustavus Burnaby Fred Burnaby “scapestrato viaggiatore”, potrebbe essere definito il primo turista dell’Asia Centrale. Intendeva penetrare nella segreta Khiva, entrata forzatamente nell’Impero Russo, e chiusa ai più. Il diario di viaggio, effettuato in pieno inverno nel 1875/76, si chiama “A Ride to Khiva” (una corsa a Khiva), mai tradotto in italiano. Il periodo storico è quello del “Grande Gioco”, quello che i russi hanno definito con un esasperato senso di teatralità: il torneo delle ombre. Burnaby arriva a San Pietroburgo con lettere di presentazione importanti, il suo viaggio é comunque scoraggiato dai russi influenti. Nonostante questo Burnaby parte, in dicembre, seguendo il corso del Volga ghiacciato, attraversa Le steppe dell’Asia Centrale, non certo sulle note di Borodin: nelle orecchie il soffio dei gelidi venti, sotto i piedi, lo scricchiolio dei ghiacci. Incontra molte difficoltà, compreso un inizio di congelamento da cui si salva a stento. A Khiva gli é vietato l’ingresso, ma grazie al proprietario dei cavalli da lui affittati, riesce ad intrufolarsi e finalmente varca le mura dell’oasi più temuta di tutta l’Asia Centrale. Dopo la distruzione di Urgench nel 1221 da parte di Gengis Khan, Khiva era diventata la capitale della Khorezmja. Era e rimase a lungo, il più grande mercato di schiavi dell’Asia Centrale.

Khiva-3592Secondo la leggenda, la città fu fondata da Sem figlio di Noé, che scavò un pozzo e lo chiamò Heivak per assonanza, venne Khiva. Così Khiva ha origini bibliche. L’oasi si presenta come una scatola di terracotta sinuosa, da cui spuntano minareti rivestiti di piastrelle policrome. Attraversata l’unica porta d’accesso, si percorre un tratto di via in fondo al quale si “dipinge” uno slanciato minareto color terracotta e un altro azzurro largo e basso, come una torta di compleanno gigante. Dalla torre del palazzo del khan si ammira dall’alto tutta l’oasi: le facciate delle madrase bordate di piastrelle azzurre, come rivi d’acqua che scorrono per rinfrescare quel fango arido e compatto. I merli delle mura sembrano squame di draghi posti a difesa dei palazzi. Gli iwan più alti, sono portali di moschee dalle cupole simili alle tende di un accampamento di nomadi. Il palazzo del khan é ricoperto di piastrelle disegnate di gigli e fiori che s’avvolgono in volute fitte, fitte, diventando sottili teste di draghi, avvoltolati tra stelle esagonali. Sono inchiodate al muro, come un arzigogolato tappeto blu, azzurro, verde e bianco, i colori di tutto quello che è mancato durante la traversata del deserto: l’acqua e gli alberi. Nel gran palazzo c’era l’harem con tante schiave, ma i khan, nostalgici del deserto, a volte, preferivano  dormire sotto le tende degli avi. Nel cortile si può vedere la base di una yurta.

Khiva-4070Sofisticate colonne di karagach (l’olmo dell’Asia Centrale) sostengono porticati di palazzi e moschee. La grande moschea del venerdì è un’antica “foresta” di colonne di epoche diverse. L’oasi semideserta é quasi “spenta”, i suoi abitanti si sono spostati nella città sovietica per lasciare questa ai turisti. Al mattino però  si vivacizza; arrivano i venditori che si sparpagliano nei vicoli, arriva il cammello abbandonato su uno spiazzo come un pezzo d’antiquariato, a  ricordare che qui arrivavano le vere carovane di un passato che non tornerà mai più, ora però arrivano i turisti. Il mausoleo di Pahlawan Mahmud è il luogo sacro dove le coppie di sposi vanno per la benedizione dell’imam,  offrono pane, sale, uva. Nel cortile bevono l’acqua santa del pozzo (quello scavato da Sem?) che porterà loro i desiderati figli, forse l’ambito figlio maschio.

Nonostante i pesanti restauri, Khiva, tirata a lucido, è un perfetto set cinematografico dove si girano film ambientati in un medioevo improbabile, ma pieno di fascino, capace di rievocare un mondo sconosciuto e mitizzato: spesso un’illusione. Era invece un mondo crudele e spietato di cui resta solo il sogno. (Gabriella Pittari)

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